What do we say to the Death? Not Today

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    L'isola del capitano Flint

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    Avevo corso tra la boscaglia con la stessa rapidità e terrore con la quale una volpe fuggiva a una muta di segugi, sentivo il dolore lancinante alla caviglia ma non potevo farci nulla, non potevo fermarmi per nessuna ragione al mondo. Avevo ancora l'arco e la faretra ma con un braccio rotto anche le mie speranze erano andate in frantumi... avevano già ucciso Vaughan e se non fossi stato più astuto e veloce quella sarebbe stata la mia stessa fine.

    Respiravo piano, cullato da una fredda brezza pomeridiana, ancora mi chiedevo come avessi fatto ad arrampicarmi su quell'albero e avevo ancora vivido il ricordo del loro arrivo, le loro voci e che non mi avessero visto nascosto tra le fronde proprio sopra le loro teste. Forse ero salvo. Forse. Ma ancora per quanto? Era passato un giorno... no, forse due da allora, dovevo aver perso i sensi più volte ma nonostante la debolezza in un qualche modo dovevo essere riuscito a non cadere giù e strapparmi un pezzo del pantalone per fissarmi il braccio scomposto al collo. E intanto il mio stomaco continuava a protestare rammentandomi che non avessi toccato cibo da giorni. Se non fossero arrivati i vichinghi era possibile che sarebbe stata la fame a portarmi all'altromondo. Ma non era il caso rimanere lì ad attendere la morte, poteva essere dura, poteva essere pericoloso, ma sarebbe stato meglio morire nell'impresa di sopravvivere. Almeno avrei potuto dire a me stesso di averci provato. Ad ogni modo tirare con l'arco era fuori discussione perciò avrei almeno potuto sperare in una qualche bacca o qualcosa del genere. Magari potevo tentare di cercare la tana di qualche animale e sottrargli un pò di provviste. Ma di qualcosa di commestibile non vi era ombra, non era la Gran Bretagna quella come potevo aspettarmi di avere la stessa fortuna? Camminai e camminai, ormai ogni passo si faceva sempre più lento, più pesante feci appena altri due passi prima di cadere a terra. Tentai di poggiarmi sul braccio buono ma non mi resse facendomi tornare tra la neve, era soffice e fredda. Era quasi piacevole. Che fosse giunto il momento di smetterla di sfuggire alla morte? D'altronde che senso avrebbe avuto continuare se non avevo modo di tornare nella mia terra natia? Cosa avrei fatto? Come mi sarei rimesso in sesto dalle ferite? A giudicare dal caldo che sentivo probabilmente avevo anche la febbre. Una lacrima mi rigò il viso, io... io volevo soltanto tornare a casa. In un luogo caldo, sicuro, accogliente e con dei visi conosciuti. E continuavo a chiedermi cosa io avessi potuto fare di male per dover morire con la consapevolezza che il mio corpo al posto di avere le adeguate cure sarebbe solo stato un pasto per i lupi o gli orsi. E avevo ucciso. Ma non avrei potuto nemmeno avere un prete a cui confesare i miei peccati. No, non volevo morire così, non potevo morire così. Avevo sbagliato tutto, era stato un gravissimo errore, aveva ragione mio zio e sarei dovuto rimanere anchio nello scriptorium a perire con lui tra le fiamme.
    Quella fu l'unica cosa che pensai prima che tutto divenisse nero. Nero.
    Sarò anche uno schiavo ma giuro su Dio che finchè sarò vivo i vichinghi dovranno guardarsi le spalle da me.
    Alfie Lockwood x sheet
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    Lagertha ed il suo esercito avevano appena superato un momento ben lontano dall'essere idilliaco. Due dei loro schiavi erano riusciti a scappare, sfruttando la distrazione generale: nel giro di due giorni avevano sorpreso e fatto fuori il primo - l'uomo che Ingridr stessa aveva conosciuto qualche giorno fa nelle capanne -, ma del secondo non riuscivano a vederne neanche l'ombra. Sembrava si fosse volatilizzato... perso... qualcuno giurava persino fosse stato parte di una strana visione mistica.
    Diversamente, i restanti, lo commentavano come un bambino incapace di prendersi le proprie responsabilità. "Non ha coraggio." "Non possiede neppure il fegato di farsi vedere!" "Ah cosa gli farei se soltanto l'avessi qui di fronte! Perderebbe la voglia di scappare a gambe levate!" commenti stupidi, dettati dall'arroganza e teatralità del momento. Falsi, che rappresentavano la maggior parte degli uomini dichiaratasi tale senza averne mai avuto il merito.
    Lagertha invece giudicava quest'ultimo come un ragazzo estremamente intelligente e con la testa sulle spalle. Sapeva come nascondersi, come sfruttare l'ambiente che aveva attorno. Non era una cosa da niente... bensì da prender nota: diversamente dalla maggior parte dei suoi sottoposti, il ragazzo era infatti riuscito ad orientare il proprio corpo in un luogo a lui sconosciuto. Sicuramente era una persona con la quale la guerriera avrebbe voluto avere a che fare.
    Ne era felice, Ingridr. Felice di poter tirare un piccolo sospiro di sollievo. Felice di poter condividere momenti privi di ansia e di apatia generale. Lagertha non sembrava - infatti - volesse cercarlo per versare altro sangue... e a lei questo le bastava. S'era fatta fin troppi nemici, per i suoi gusti... ed era proprio per questo che l'idea di porgere l'altra guancia - lasciando che un ragazzino come lui riuscisse a sopravvivere -, quella volta più di prima, non le sembrò poi così tanto errata.
    Era soltanto un ragazzo che condivideva il desiderio di tornare a casa, calpestare il terreno a cui aveva sempre fatto affidamento e riabbracciare i suoi cari. Cosa c'era di sbagliato?
    Non sapeva se la Regina di Kattegat gli avrebbe dato quel che voleva: sicuramente avrebbe cercato di sfruttare le sue abilità fino a quando ci sarebbe riuscita. Non era questo l'importante... dovevano trovarlo. E non per metterlo tra le loro schiere... ma per conoscerlo, imparare da lui. O almeno questo avrebbe voluto Ingridr per sé stessa.
    Chissà se sarebbe riuscita lì dove gli altri avevano fallito. Chissà se uscendo dalla sua capanna avrebbe incontrato il ragazzino di cui tanti parlavano. Ingridr ci sperava... e continuò a farlo persino in quel momento, mentre camminava tra gli alberi e la folta vegetazione di Kattegat.
    Un tonfo e piccolo cambiamento d'aria distrasse improvvisamente la ragazza, che voltò il capo e si mosse automaticamente verso sud, col solo obbiettivo di ritrovarsi davanti alla sua distrazione.
    Quando arrivò al luogo prefissato, scorse il corpo di un ragazzo abbandonato sul terreno. Ingridr appoggiò una mano sul petto, preoccupata e spaventata, perfettamente incapace di rendersi utile. Nonostante questo, si avvicinò lentamente allo sconosciuto, sbatté le ginocchia sul suolo ed alzò il capo di quest'ultimo con entrambe le mani. - Ehi... ragazzo... ragazzo svegliati! disse alzando leggermente la voce, accarezzandogli leggermente la fronte e scuotendo il capo allarmata.

    Ingriðr Fríða Matthildir x sheet
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    Una calda luce soffusa fu la prima cosa che vidi quando riaprii leggermente le palpebre obbligandomi a richiuderle di colpo per poi riaprirle pian piano per farne abituare gli occhi. "Giovanotto, che fai li per terra!?" Quella voce, calda e matura, mi fece poggiare sul braccio sano per tirarmi su e vedere il vecchio Elijah che in piedi mi fissava con sguardo curioso. Probabilmente l'espressione sul mio viso in quel momento fu un misto di sorpresa e gioia nel rivedere un volto familiare, sopratutto di qualcuno che credevo di aver perso. "Su, su, non hai dormito stanotte? Va a prendere l'acqua al pozzo e poi a passa a comprare qualcosa da mangiare al mercato. E vedi di fare attenzione lungo la strada." Ed ecco che come faceva di solito una delle sue mani finì ad arrufarmi affettuosamente i capelli. "Ma il mio braccio..." Affermai prima di ammutolirmi di colpo non appena notai che il mio braccio rotto era perfettamente sano e fu li che qualcosa iniziò a sembrarmi strano. A quel punto potevano esserci solo due ipotesi: o ero morto oppure stavo sognando. Avrei dovuto svegliarmi? Ma perchè avrei dovuto? Era così bello stare là. Quel calore, quella familiarità, stare tra della gente che nutriva un sincero affetto tra me più della mia stessa famiglia che aveva sempre preferito chiudersi nella sua fredda alterità nobiliare avendo già fatto piani anche per me. A mio fratello l'eredità e il dovere di portare avanti la famiglia, mia sorella data in sposa a chissà quale nobile e io a servire la causa del Signore. Tuttavia tra noi però io mi ritenevo il più fortunato, almeno dal mio punto di vista. Ma quelli ormai erano tempi passati proprio come il povero monaco che mentre se ne andava dandomi le spalle divenne polvere e quella realtà di pace iniziò a cadere in frantumi fino a ritrovarmi nuovamente circondato dalle fiamme. Stavolta però non c'èra nessuno oltre a me e, guardandomi attorno, non notai nessuna via di uscita. Ero completamente in trappola tra quelle mura di pietra grigia. "E' solo un sogno, Alfie. Solo un sogno. Svegliati. Svegliati!" Mi alzai nella neve con un urlo al quale se ne aggiunse un altro più smorzato quando sentii un dolore alla spalla, solo a quel punto però mi accorsi di una giovane dai capelli rossi proprio li vicino a me che, per la sorpresa di essermela ritrovata così improvvisamente davanti, mi fece cadere col didietro nella neve. "C... chi sei? V... va, via. L... lasciami in pace, s... sono armato." Blaterai balbettando nella mia lingua natia ancora semi scioccato da tutta quella situazione mentre, arrancando all'indietro, riuscii finalmente alla fine a prendere l'arco e metterlo orizzontalmente davanti a me. Non potevo tirare le frecce ma magari avrei potuto usarlo come bastone in modo da riuscire ad avere una via di fuga se ce ne fosse stato bisogno.
    Sarò anche uno schiavo ma giuro su Dio che finchè sarò vivo i vichinghi dovranno guardarsi le spalle da me.
    Alfie Lockwood x sheet
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    by psiche
     
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